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Scheda articolo 123371
Autore : Scuola CRETO-VENETA di inizio Quattrocento
CAPOLAVORO DI SCUOLA VENETO-CRETESE DEL QUATTROCENTO - Rarissima e museale tempera su tavola di inizio XV sec. con fondo oro "MADONNA COL BAMBINO, ANGELI, SANTI E IL BATTESIMO DI CRISTO" 
Epoca : Quattrocento

Madonna col Bambino incoronata dagli Angeli coi Santi Nicola e Giovanni Battista (grande riquadro superiore) e il Battesimo di Cristo (riquadro inferiore centrale), San Giorgio (riquadro inferiore destro) nell'atto di uccidere un drago e San Demetrio (riquadro inferiore sinistro), nell'atto di uccidere un "moro".

Rarissima tempera con fondo oro dipinta su tavola

Scuola Veneto-Cretese (o Creto-Veneta) di inizio Quattrocento

 

Prezzo: € 33.000,00

 

Misure: altezza cm. 60 – larghezza cm. 44 – spessore medio della tavola: cm. 2,3

Capolavoro di assoluto valore museale in perfetto stato conservativo

 

Saggio critico ed expertise storico-artistica del PROF. GIOVANNI MORSIANI

L’opera, assolutamente originale e d’altissima epoca, è una tavola di noce dipinta a tempera su fondo oro (divisa in un riquadro superiore, più grande, ed in tre inferiori, più piccoli, di cui i due laterali identici per dimensioni). Si tratta di una prova d’autore, alquanto complessa per concezione storico-artistica e simbolismi religiosi, che affascina fin da subito l’occhio dell’osservatore per l’atmosfera arcaica ed antica che sa creare, per la maestria della raffigurazione, per il dettaglio miniaturistico e delicato delle figure e  per l’armonia compositiva della scena. Un vero libro d’arte "aperto sul passato", che ha miracolosamente varcato i secoli e la storia, pensato, composto e dipinto “su legno” da un anonimo maestro, la cui articolata formazione culturale ci appare qui non solo pittorica, ma anche storica, filosofica e religiosa. L’opera si concentra, nel grande riquadro superiore, sul volto purissimo della "Vergine incoronata dagli Angeli", raffigurata con gli occhi scuri e “bistrati” all’orientale,  il naso lungo ed affilato, l’incarnato olivastro e la pelle levigata di una donna ancor giovane, con la veste ricca, foggiata all’orientale e con il panneggio finemente sottolineato. La mano destra della Madonna, con le dita lunghe, delicate ed affusolate, posta esattamente al di sotto della mano destra benedicente del Bambino (in posizione centrale in corrispondenza del “baricentro aureo” della scena), presenta ed indica il Figlio (secondo gli stilemi compositivi che definiscono la “Madonna Odigitria”, cioè “colei che mostra al mondo la direzione, il percorso della Verità e della Vita”), accogliendolo dolcemente fra le sue braccia e tenendolo seduto sul ginocchio sinistro. Il "Bambino", con le forme ben proporzionate e lo sguardo “maturo”, è colto nell’atto di alzare la mano destra per benedire con l’indice e il medio congiunti, mentre nella mano sinistra presenta un libro (che simboleggia la Parola di Dio, quell’ “ego sum Via Veritas” che significa “attraverso di me si perviene alla Verità, attraverso di me, se avrete Fede, potrete un giorno osservare il Vero Volto di Dio”). Sulla destra del dipinto vediamo raffigurato "San Giovanni Battista", colui che avrà il compito di battezzare Cristo sulle rive del Giordano (come il riquadro sottostante dell’opera ci mostra). Il Battista è rappresentato con le braccia incrociate sul petto, in adorazione. Il pesante panneggio delle vesti non ricche ne indica l’origine povera e lo “status” di asceta. Sulla sinistra del dipinto si può vedere la figura di "San Nicola di Bari", qui rappresentato con le vesti episcopali, senza mitria ma con il libro dei Doni Celesti simboleggiati dalle monete impresse sulla sovracoperta del libro che regge con la mano sinistra e presenta con la destra. Come vedremo egli fu vescovo di Myra (oggi Demre), una città situata in Licia, una provincia dell'Impero Bizantino, che si trova nell'attuale Turchia. È noto anche al di fuori del mondo cristiano perché la sua figura ha dato origine al mito di "Santa Claus" (o Klaus o Sankt Niklaus), e, a partire dagli ultimi due secoli, “Babbo Natale”. Egli è conosciuto in Italia anche come San Nicolò e, nelle regioni di Nord Est, è solito portare i doni la notte tra il 5 e il 6 dicembre.
Nei due riquadri inferiori destro e sinistro, di uguali dimensioni, vediamo due raffigurazioni iconografiche, rispettivamente, di "San Giorgio" nell’atto di uccidere il drago (l’iconografia più conosciuta e successiva all’X-XI sec.) con la classica lancia sguainata che trafigge il mostro (riquadro di sinistra) e di "San Demetrio" uccidere un uomo (riquadro di destra), ovvero "un moro".  Riguardo alle storie su San Giorgio il santo era venerato semplicemente come soldato-martire che aveva convertito i popoli infedeli. Quanto a San Demetrio di Tessalonica l’immagine tradizionale lo rappresenta, appunto, come un cavaliere intento a trafiggere un uomo, simbolo del “persecutore pagano e dell’eresia”.
Non a caso le due figure di San Giorgio e San Demetrio sono entrambe convergenti verso il riquadro più grande centrale, a protezione del suo significato più saliente: ovvero la riunificazione delle due chiese, quella Orientale e quella Occidentale (rappresentate qui dal “Battesimo di Cristo”).
Il riquadro centrale, posto al di sotto dell’immagine Mariana, raffigura così il “Battesimo di Cristo”. San Giovanni Battista, sulla sinistra, è colto nell’atto di aspergere l’acqua sul capo di Gesù, immerso quasi fino alla cintola nell’acqua del fiume Giordano. Sulla destra si osservano tre Angeli raggruppati insieme, di cui quello centrale è intuibile solo per la presenza dell’aureola, mentre quello più vicino a Gesù, con le ali, è raffigurato nell’atto di porgere a Cristo un telo per asciugarlo. Questo personaggio è l’ Angelo Custode che, secondo la tradizione cristiana, inizia ad accompagnarci subito dopo il Battesimo. Proprio al di sopra del capo di Cristo notiamo una mezzaluna di colore rosso acceso con tre raggi di luce inferiori a forma di “V” (a simboleggiare la Santissima Trinità). L’artista ci racconta in questo modo che è lo Spirito Santo ad aleggiare su tutta la scena, con il suo “calore solare” che si fa “Luce di Dio che illumina il mondo”.

Le raffigurazioni pittoriche, a mosaico ed in scultura della "Madonna o S. Vergine Odigitria" sono molteplici e si susseguono nel corso dei secoli a partire dall'Arte Bizantina e fono al XVII sec. Di particolare significato allo scopo di illuminare di ulteriore conoscenza l'opera qui presentata è la "Madonna Odigitria col Bambino", mosaico del XII-XIII sec., di origine tardo-bizantina, tuttora visibile nella Cripta della Basilica di San Marco in Venezia. Un'opera quasi sovrapponibile, per concezione stilistica ed artistica, alla nostra. A dimostrare il fondamento storico-artistico della già citata "Scuola Veneto-Cretese".

 

Note al Saggio Critico

La "Madonna Odigitria", più correttamente "Odegetria" (dal greco antico ὸδηγήτρια, cioè "colei che istruisce", che "mostra la direzione"), altrimenti nota anche come Vergine Odigitria, Theotókos Odigitria, Panag[h]ía Odigitria e Madonna dell'Itria, è un tipo di iconografia cristiana diffusa in particolare nell'arte bizantina, veneto-cretese e russa del periodo medioevale e tardo-medioevale. L'iconografia è costituita dalla Madonna con in braccio il Bambino Gesù seduto in atto benedicente che tiene in mano una pergamena arrotolata o un libro e che la Vergine indica con la mano destra (da qui l'origine dell'epiteto). Storia iconografica: questo tema figurativo trae origine dall'icona omonima che rappresentò, a partire dal V secolo, uno dei maggiori oggetti di culto a Costantinopoli. Secondo l'agiografia, infatti, questa reliquia sarebbe stata una delle icone mariane dipinte dall'evangelista Luca che Elia Eudocia (Aelia Eudocia, circa 401-460), moglie dell'imperatore Teodosio II, avrebbe ritrovato in Terra Santa e traslato a Bisanzio. L'icona era conservata nella basilica omonima che venne edificata per l'occasione in riva al mare, in posizione decentrata rispetto al complesso costituito dal palazzo imperiale, il circo e le due chiese di Santa Sofia e Santa Irene. L'icona originaria, che veniva portata in solenni processioni e durante i trionfi, andò perduta quando Costantinopoli cadde in mano agli ottomani nel 1453. Alcuni resoconti - storicamente di dubbia attendibilità - riferiscono che l'icona si sarebbe infranta, mentre veniva portata in processione, il 28 maggio 1453, esattamente il giorno prima della caduta della città che subiva l'assedio finale dell'esercito di Maometto II. Il culto di questa icona fu particolarmente popolare: ad essa sono intitolate chiese e luoghi di culto, soprattutto in Grecia e nell'Italia meridionale.

Il Battesimo di Gesù nel Cristianesimo si riferisce al Battesimo ricevuto da Gesù da parte di Giovanni Battista, così come narrato nel Vangelo secondo Marco (1,9-11), nel Vangelo secondo Matteo (3,13-17) e nel Vangelo secondo Luca (3,21-22). L'evento è ricordato come il primo dei “Misteri della Luce” di cui è composto il Santo Rosario. La festa del battesimo di Gesù viene celebrata dalla Chiesa cattolica e dalla Chiesa anglicana nella domenica che cade dal 7 al 13 gennaio.
Racconti evangelici
Il Battesimo di Gesù da parte di Giovanni Battista è narrato nei vangeli sinottici, mentre il Vangelo secondo Giovanni presenta la testimonianza da parte di Giovanni Battista della discesa dello Spirito Santo su Gesù ma non parla del suo battesimo. L'episodio si colloca nell'ambito dell'attività di Giovanni Battista, che battezza il popolo nelle acque del Giordano.
Nel Vangelo secondo Marco Gesù si reca da Nazaret (in Galilea) sulle rive del Giordano, dove viene battezzato da Giovanni Battista. Uscendo dall'acqua, vede i cieli aprirsi e lo Spirito scendere su di lui come una colomba, mentre si ode una "Voce dal Cielo" che dice «Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto». Anche nel Vangelo secondo Matteo Gesù va dalla Galilea alle rive del Giordano per farsi battezzare da Giovanni; in questo vangelo, però, si narra anche di come Giovanni Battista cerchi di impedirglielo dicendogli «Io ho bisogno di essere battezzato da te e tu vieni da me?», ma Gesù lo convince rispondendogli «Lascia fare per ora, poiché conviene che così adempiamo ogni giustizia». Come in Marco, anche in Matteo Gesù, uscendo dalle acque, vede il cielo aprirsi e discendere lo Spirito di Dio sotto forma di colomba, mentre una voce dal cielo afferma «Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto». Nel Vangelo secondo Luca "tutto il popolo" è battezzato e anche Gesù si fa battezzare; mentre è raccolto in preghiera, il cielo si apre e scende su di lui lo Spirito Santo sotto forma di colomba, mentre si ode una voce celeste che dice «Tu sei il mio figlio prediletto, in te mi sono compiaciuto». Nel Vangelo secondo Giovanni non si parla, invece, di  Battesimo, ma solo di discesa dello Spirito sotto forma di colomba o di “luce divina” (vd. la tavola in esame). Giovanni Battista rende infatti testimonianza dicendo che colui il quale lo aveva mandato a battezzare con acqua lo aveva avvisato che colui sul quale avrebbe visto scendere lo Spirito per rimanervi sarebbe stato colui che avrebbe battezzato nello Spirito Santo (invece che in acqua come Giovanni), e che aveva visto lo Spirito discendere dal cielo sotto forma di colomba su Gesù e di averlo riconosciuto come figlio di Dio.
Interpretazione
Vi sono delle differenze importanti tra i tre racconti dei Vangeli che indicano una diversa cristologia. Da una parte il Battesimo di Gesù deve necessariamente avere un significato e uno scopo ben diversi dal battesimo di Giovanni che era una battesimo per la remissione dei peccati. Infatti Gesù era senza peccato e quindi non poteva sottoporsi a un atto che fosse simbolo di pentimento. A Giovanni, che non voleva battezzarlo, Gesù disse: "Lascia fare, questa volta, poiché conviene che in questo modo adempiamo tutto ciò che è giusto". Mt 3,15. Dall'altra parte il Battesimo di Gesù è diverso dall'attuale sacramento cristiano. Quest'ultimo ha soprattutto il significato di rendere il battezzato figlio di Dio e membro della Chiesa. E inoltre di purificarlo del peccato originale. Del Battesimo di Gesù Cristo parlano tutti i quattro vangeli canonici. Ecco come lo presenta il Vangelo di Matteo (3,13-17):
"In quel tempo Gesù dalla Galilea andò al Giordano da Giovanni per farsi battezzare da lui. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito Santo scendere come una colomba e venire su di lui. Ed ecco una voce dal cielo che disse: Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto".
Il Battesimo di Gesù manifesta la sua natura divina: nel mondo è apparso il Figlio di Dio incarnato nella forma umana. Questa è l'Epifania.
Dio appare nello stesso tempo sotto tre ipostasi: Dio-Figlio - Gesù, Dio-Spirito Santo - è sceso su Gesù in forma di colomba, Dio-Padre - si è manifestato attraverso la sua voce. Ecco l'Epifania della Santissima Trinità (Trinità "novotestamentaria"). Qui raffigurata dai raggi “cosmici” a forma di “V”. Ricevuto il Battesimo, Gesù andò nel deserto e lì digiunò per quaranta giorni. E il demonio per tre volte lo tentò. Ma Gesù vinse le tentazioni e, tornato in Galilea, iniziò il suo insegnamento. "Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, e mi ha mandato per annunziare ai poveri un lieto messaggio, per proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista... (Lc 4,18).  Da questo momento Gesù appare come Messia (dall'ebraico mashijah - "unto", in greco "Cristo"). Inizia il suo grande servizio.  Le immagini del Battesimo del Signore, chiamate anche l'Epifania (del nostro Signore Gesù Cristo), erano molto popolari nelle rappresentazioni sacre russe, greco –ortodosse e veneto-cretesi. Uno degli esempi delle icone di questo tipo è l'immagine dell'Epifania di Novgorod, fine del XV - inizio XVI secolo.  Il centro logico e composizionale dell'icona è la figura di Cristo. Gesù Cristo, spogliato, riceve il Battesimo di purificazione nel Giordano: secondo l'iconografia fissata, nella riva sinistra del fiume Giordano è presentato Giovanni Battista, nella riva destra degli angeli (il loro numero sulle icone dell'Epifania varia da tre a quattro).  Gli Angeli, rappresentati nelle immagini del Battesimo di Gesù Cristo, personificano i padrini, il cui compito è di accogliere i "battezzandi", quando escono dall'acqua. Uno di loro (in genere quello più vicino a Cristo) è l’Angelo Custode che accompagna il cristiano per tutta la vita. Le figure degli Angeli "costruiscono", per dire così, i gradini delle scale, che si alzano dalla terra verso il Cielo. Anche le rive del Giordano ascendono ripidamente. Tutto è diretto verso l'alto. E nel centro di tutto è Gesù Cristo. L’Epifania. Giova ricordare che Il termine ἐπιφάνεια veniva già utilizzato dagli antichi Greci per indicare l'azione o la manifestazione di una qualsiasi divinità (mediante miracoli, visioni, segni,ecc.)
Ma il dipinto ha anche un forte valore simbolico ed allude ad alcuni eventi storici, che hanno aiutato ad ipotizzare una datazione. Il più noto è quello che riguarda la riunificazione tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente (ortodossa e latina) avvenuta nel 1439 grazie al Concilio di Firenze. A questa circostanza riportano i tre angeli sulla sinistra che si tengono vicinissimi in simbolo di concordia e l’immagine di Gesù benedetto al centro del Giordano, “ponte riconciliatore” fra Oriente ed Occidente. E, secondo molti storici, simbolico atto finale del Medioevo ed inizio dell’Era Moderna.

San Giovanni (il) Battista (in ebraico Iehôhānān, in greco Ιωάννης ο Πρόδρομος [Giovanni il Precursore], in latino Ioannes Baptista) fu un asceta proveniente da una povera famiglia sacerdotale ebraica originaria della regione montuosa della Giudea e fondatore di una comunità battista che fu all'origine di alcuni movimenti religiosi del I secolo d.C. come la comunità cristiana fondata da Gesù di Nazareth e le comunità gnostiche samaritane fondate da Dositeo, Simone Mago e Menandro. San Giovanni Battista, venerato da tutte le Chiese cristiane e considerato santo da tutte quelle che ammettono il culto dei Santi, è una delle personalità più importanti dei Vangeli. Secondo il Cristianesimo, la sua vita e predicazione sono costantemente intrecciate con l'opera di Gesù Cristo; insieme a quest'ultimo, Giovanni Battista è presente anche nel Corano col nome di Yaḥyā come uno dei massimi profeti che precedettero Maometto. Morì intorno al 35 d.C.
La vita di S. Giovanni Battista secondo la tradizione cristiana. Fonte principale sulla vita e la figura del Battista sono i Vangeli. Essi affermano che era figlio di Zaccaria e di Elisabetta, cugina di Maria quindi cugino di Gesù, e fu generato quando i genitori erano in tarda età. La notizia è interpretabile come a sottolineare l'eccezionalità del personaggio (figli di genitori anziani furono anche Isacco, figlio di Abramo, e, secondo tradizioni tarde, Maria). La sua nascita fu annunciata dallo stesso arcangelo Gabriele che diede l'annuncio a Maria; quando questa andò a visitare Elisabetta, il nascituro balzò di gioia nel ventre materno. Per aver conosciuto direttamente Gesù e per averne annunciato l'arrivo ancor prima che questi nascesse, Giovanni è ricordato come "il più grande dei profeti". Luca lo colloca in un quadro storico ben preciso, donandoci nomi e cognomi dei protagonisti politici di quel tempo (Vangelo secondo Luca 3, 1-2), riconducibile al periodo corrispondente agli anni 27 e 28 dopo Cristo, anno decimo quinto dell'impero di Tiberio.In occasione della visita della cugina Maria, Elisabetta sarebbe stata nel sesto mese di gravidanza; questo ha permesso di fissare la nascita di Giovanni tre mesi dopo il concepimento di Gesù e dunque sei mesi prima della sua nascita; da Agostino sappiamo che la celebrazione della nascita di Giovanni al 24 giugno era antichissima nella Chiesa cattolica africana: unico santo, insieme alla Vergine Maria, di cui si celebra non solo la morte (il dies natalis, cioè la nascita alla vita eterna), ma anche la nascita terrena[6] e, per le Chiese d'Oriente, il concepimento fra il 23 e il 25 settembre. Il Battista morì a causa della sua predicazione. Egli condannò pubblicamente la condotta di Erode Antipa, che conviveva con la cognata Erodiade; il re lo fece prima imprigionare, poi, per compiacere la bella figlia di Erodiade, Salomè, che aveva ballato ad un banchetto, lo fece decapitare.
San Giovanni Decollato. La morte per decapitazione ha fatto sì che Giovanni Battista sia divenuto famoso anche come “San Giovanni Decollato”. La celebrazione del martirio di Giovanni Battista o celebrazione di San Giovanni Decollato è fissata al 29 agosto (probabile data del ritrovamento della reliquia della testa del Battista). Molte chiese, luoghi di culto e città sono dedicate a questo santo. L'Assunzione in Cielo di San Giovanni Battista. Alcuni antichi salmi sostennero l'idea che Giovanni Battista fosse stato assunto in Cielo al tempo della Risurrezione di Cristo. A tal proposito, papa Giovanni XXIII, nel maggio del 1960, in occasione dell'omelia per la canonizzazione di Gregorio Barbarigo, ha mostrato la sua prudente adesione a questa "pia credenza" secondo la quale il Battista, come anche san Giuseppe, sarebbe risorto in corpo ed anima e salito con Gesù in Cielo all'Ascensione. Il riferimento biblico sarebbe in Matteo 27, 52-53 «... i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono. E, uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella Città santa e apparvero a molti.» Le reliquie. Secondo la tradizione della Chiesa cattolica, il capo del santo è ora conservato nella chiesa di San Silvestro in Capite a Roma. La reliquia, pervenuta a Roma durante il pontificato di Innocenzo II (1130-1143), fino al 1411 veniva portata ogni anno in processione da quattro arcivescovi. Il cranio custodito a Roma è senza la mandibola, conservata nella cattedrale di San Lorenzo a Viterbo. Un'altra tradizione affermava invece che la testa fosse custodita nella cattedrale d'Amiens e nel Palazzo Topkapı ad Istanbul sarebbero conservati la sua testa e il suo braccio. Ciò nonostante è comunemente riconosciuta la veridicità della reliquia romana, Oliviero Iozzi si spinse a "dimostrare" l'autenticità del cranio e della mandibola del Battista conservati in Italia[8]. C'è da dire che le tre presunte teste del Battista non sono composte da crani integri bensì da alcune parti più o meno grandi unite con della cera della quale sono state modellate le parti mancanti richiamando la forma di un teschio. Potrebbe essere che tutti i frammenti dei tre crani siano autentici. Il piatto che secondo la tradizione avrebbe accolto la testa del Battista è custodito a Genova, nel Museo del tesoro della cattedrale di San Lorenzo assieme a una parte delle "ceneri" del santo. Un'altra porzione si trova nell'Oratorio di San Giovanni Battista a Loano. Il braccio destro si trova nel Duomo di Siena, donato da Papa Pio II il 6 maggio 1464. In precedenza tale reliquia era appartenuta a Tommaso Paleologo. Una mano è conservata in un reliquiario a Rapagnano ed è stata prelevata dall'Evangelista San Luca dalla tomba del Precursore di Sebaste, poi traslata in Antiochia e poi trasportata a Costantinopoli e da questa città a Rapagnano con un serie di eventi miracolosi. Questa Reliquia dal 22.06.2013 al 24.06.2013 è stata traslata temporaneamente a Chiaramonte Gulfi (RG) in occasione delle annuali festività del Precursore, evento unico nella storia di Rapagnano. L'altra mano si trova invece in un Monastero dello stato di Montenegro; un tempo era la reliquia più preziosa dell'ordine di Malta. Due piccole reliquie si trovano nella chiesa parrocchiale di San Giovanni Battista all'Olmo in Massaquano, una delle quali, conservata in un reliquiario d'argento, viene esposta e offerta al bacio dei fedeli nella ricorrenza della Decollazione il 29 agosto di ogni anno. Nella Chiesa di San Gregorio Armeno a Napoli è custodita una piccola quantità di sangue di san Giovanni Battista; è possibile vederlo in occasione delle due ricorrenze annuali del 24 giugno e del 29 agosto. Un dito, donato dall'antipapa Giovanni XXIII, sarebbe conservato nel Museo dell'Opera del Duomo di Firenze, in quanto corredo della Cattedrale. Altre reliquie sarebbero conservate a Damasco, nella Moschea degli Omayyadi. Un dente e altre reliquie si conservano nella cattedrale di Ragusa, un frammento di osso nella Basilica di Vittoria, un altro dente insieme ad una ciocca di capelli a Monza. Una piccola quantità di ceneri si trova a Chiaramonte Gulfi, nella chiesa Commendale dell'Ordine di Malta e dal 24.06.2013 nella stessa chiesa è conservata un'altra Reliquia del Battista donata dal Monastero Domenicano del Rosario di Monte Mario (Roma). Recentemente, entrambe le Reliquie, dopo la ricognizione canonica da parte del Vescovo di Ragusa Mons. Paolo Urso sono state poste in un nuovo artistico reliquiario in argento. A Pozzallo e nella Chiesa di San Giovanni Decollato a Nepi, custodita dall'omonima Confraternita ed esposta in alcune cerimonie annuali. Una piccola reliquia è custodita nella Basilica di San Giovanni Battista dei Fiorentini a Roma e nella Chiesa Parrocchiale di San Giovanni Battista ad Aci Trezza. Un frammento di osso nella Basilica di San Giovanni Battista a Monterosso Almo (RG).  Moltissimi sono anche i patronati, di cui ricordiamo i più importanti:
Per via dell'abito di pelle di cammello, che si cuciva da sé e della cintura, è patrono di sarti, pellicciai, conciatori di pelli.
Per l'agnello, dei cardatori di lana.
Per il banchetto di Erode che fu causa della sua morte, è patrono degli albergatori.
Per la spada del supplizio, di fabbricanti di coltelli, spade, forbici.
È patrono dell' Ordine di Malta
E' patrono della contrada della Pantera di Siena.
San Giovanni Decollato è il protettore di tutte le Anime Decollate e a queste anime si rivolgono tutti coloro che chiedono aiuto o consiglio oppure cercano un segno divinatorio. Queste anime non hanno nulla a che vedere con le anime sante purganti in quanto, queste ultime stanno a scontare la loro pena poiché in vita non sono state operose ed efficaci nel praticare il bene mentre i Decollati sono morti per mano del boia; per questo motivo è anche patrono di molte confraternite che assistevano i condannati a morte.
In Sicilia è patrono dei compari e delle comari di battesimo in ricordo del Battesimo di Cristo.
Viene anche invocato, contro le calamità naturali quali terremoti, temporali ecc. in Sicilia e specie a Chiaramonte Gulfi in tali occasioni si recita il Rosario di San Giovanni in dialetto seguito dalla Giaculatoria "San Giuvanni Santu 'Granni, Libiratici ri priculi e ri danni".
È patrono della città di Formia, dove è protettore dei naviganti.
Dal 1700 è consuetudine per le logge della Massoneria di rito scozzese compiere un rito di elogio a san Giovanni Battista, che secondo la tradizione morì come Gesù all'età di 33 anni. La festa del Battista ricorre il 24 giugno (24/06), nel’ambito cosmologico del solstizio d’estate nel quale il sole è al culmine nell'apogeo. Complementare a questa consuetudine è quella di San Giovanni Evangelista, la cui festa ricorre il giorno del solstizio di inverno.

San Nicola di Bari

San Nicola di Bari, noto anche come San Nicola di Myra, San Nicola dei Lorenesi, San Nicola Magno, San Niccolò e San Nicolò (Patara di Licia, 270 circa – Myra, 6 dicembre 343), è venerato come santo dalla Chiesa cattolica, dalla Chiesa ortodossa e da diverse altre confessioni cristiane, fu vescovo di Myra (oggi Demre), una città situata in Licia, una provincia dell'Impero bizantino, che si trova nell'attuale Turchia. È noto anche al di fuori del mondo cristiano perché la sua figura ha dato origine al mito di Santa Claus (o Klaus), conosciuto in Italia come san Nicolò e, nelle regioni di Nord Est, porta i doni la notte tra il 5 e il 6 dicembre. Le sue reliquie sono conservate a Bari, Venezia, Rimini, Saint-Nicolas-de-Port, Bucarest ed anche in Bulgaria, nella chiesa della città di Cernomoretz.    Nacque probabilmente a Pàtara di Licia, fra il 261 ed il 280, da Epifanio e Giovanna che erano cristiani e benestanti. Cresciuto in un ambiente di fede cristiana, perse ,secondo le fonti più diffuse, prematuramente i genitori a causa della peste. Divenne così erede di un ricco patrimonio che distribuì tra i poveri e perciò ricordato come grande benefattore. In seguito lasciò la sua città natale e si trasferì a Myra dove venne ordinato sacerdote. Alla morte del vescovo metropolita di Myra, venne acclamato dal popolo come nuovo vescovo. Imprigionato ed esiliato nel 305 durante le persecuzioni emanate da Diocleziano, fu poi liberato da Costantino nel 313 e riprese l'attività apostolica. Non è certo che sia stato uno dei 318 partecipanti al Concilio di Nicea del 325: secondo la tradizione, comunque, durante il concilio avrebbe condannato duramente l'Arianesimo, difendendo la fede cattolica, ed in un momento d'impeto avrebbe preso a schiaffi Ario. Gli scritti di Andrea di Creta e di Giovanni Damasceno confermerebbero la sua fede radicata nei principi dell'ortodossia cattolica. Ottenne dei rifornimenti durante una carestia a Myra e la riduzione delle imposte dall'Imperatore. Morì a Myra il 6 dicembre, presumibilmente dell'anno 343, forse nel monastero di Sion. Il culto di San Nicola si diffuse dapprima in Asia Minore (nel VI sec. 25 chiese a Costantinopoli erano a lui dedicate), con pellegrinaggi alla sua tomba, posta fuori dell'abitato di Myra. Numerosi scritti in greco ed in latino ne fecero progressivamente diffondere la venerazione verso il mondo bizantino-slavo e in Occidente, a partire da Roma e dal Meridione d'Italia, allora soggetto a Bisanzio. San Nicola è così diventato già nel Medioevo uno dei santi più popolari del Cristianesimo e protagonista di molte leggende riguardanti miracoli a favore di poveri e defraudati.   Si narra che Nicola, venuto a conoscenza di un ricco uomo decaduto che voleva avviare le sue tre figlie alla prostituzione perché non poteva farle maritare decorosamente, abbia preso una buona quantità di denaro, lo abbia avvolto in un panno e, di notte, l'abbia gettato nella casa dell'uomo in tre notti consecutive, in modo che le tre figlie avessero la dote per il matrimonio.
Un'altra leggenda narra che Nicola, già vescovo, resuscitò tre bambini che un macellaio malvagio aveva ucciso e messo sotto sale per venderne la carne. Per questi episodi San Nicola è ritenuto un santo benefattore e protettore, specialmente dei bambini. Viene festeggiato il 6 dicembre e il 9 maggio.  Le sue spoglie furono conservate nella cattedrale di Myra fino al 1087. Quando Myra cadde in mano musulmana, Bari e Venezia, che erano dirette rivali nei traffici marittimi con l'Oriente, entrarono in competizione per il trasferimento in Occidente delle reliquie del santo. Una spedizione barese di 62 marinai, tra i quali i sacerdoti Lupo e Grimoldo, partita con tre navi di proprietà degli armatori Dottula, raggiunse Myra e si impadronì di circa metà dello scheletro di Nicola, che giunse a Bari il 9 maggio 1087.     Secondo la leggenda, le reliquie furono depositate là dove i buoi che trainavano il carico dalla barca si fermarono. Si trattava in realtà della chiesa dei benedettini (oggi chiesa di San Michele Arcangelo, che fu il protettore dei Crociati)) sotto la custodia dell'abate Elia, che in seguito sarebbe diventato vescovo di Bari. L'abate promosse tuttavia l'edificazione di una nuova chiesa dedicata al santo, che fu consacrata due anni dopo da Papa Urbano II in occasione della definitiva collocazione delle reliquie sotto l'altare della cripta. Da allora san Nicola divenne compatrono di Bari assieme a San Sabino e le date del 6 dicembre (giorno della morte del santo) e 9 maggio (giorno dell'arrivo delle reliquie) furono dichiarate festive per la città. Il santo era anche presente, fino al XIX secolo, sullo stemma della città tramite un cimiero.   La traslazione veneziana. È poco noto che Venezia spartisce con Bari la custodia delle reliquie di San Nicola. I Veneziani, infatti, non si erano rassegnati all'incursione dei Baresi e nel 1099-1100, durante la prima crociata, approdarono a Myra, dove fu loro indicato il sepolcro vuoto dal quale i baresi avevano prelevato le ossa. Tuttavia qualcuno rammentò di aver visto celebrare le cerimonie più importanti, non sull'altare maggiore, ma in un ambiente secondario. Fu in tale ambiente che i veneziani rinvennero una gran quantità di minuti frammenti ossei che i baresi non avevano potuto prelevare. Questi vennero traslati nell'abbazia di San Nicolò del Lido.       San Nicola-San Nicolò venne quindi proclamato protettore della flotta della Serenissima e la chiesa divenne un importante luogo di culto. San Nicolò era infatti venerato come protettore dei marinai, non a caso la chiesa era collocata sul Porto del Lido, dove finiva la laguna e cominciava il mare aperto. A San Nicolò del Lido terminava l'annuale rito dello “Sposalizio del Mare”. Molte furono le opere d’arte che lo videro protagonista nell’ambito della tradizione veneto-cretese soprattutto in pittura, fra il periodo Tardo Medioevale e il Rinascimento. Solo in tempi recenti, l'autenticità delle spoglie veneziane è stata accertata, ponendo fine a una secolare contesa fra le due città
San Nicola a Rimini. Nel gennaio 2003 la Chiesa cattolica di Rimini, d’intesa con il Pontificio Consiglio per la promozione dell’unità dei cristiani, faceva dono di un frammento dell'òmero sinistro di San Nicola alla Diocesi Greco-Ortodossa di Dimitriade (la greca Volos), che ne aveva inoltrato richiesta. Secondo la tradizione, l’òmero di San Nicola giunse a Rimini in modo piuttosto rocambolesco nella seconda metà del XII secolo. Protagonista della vicenda sarebbe stato un vescovo tedesco, che aveva trafugato la reliquia a Bari. Nel 1177, papa Alessandro III si fermò a Rimini venendo da Venezia; il pontefice volle sottoporre la reliquia alla prova del fuoco per accertarsi della sua originalità: "le fiamme non la bruciarono, anzi, emanarono un profumo intenso". San Nicola fu proclamato co-patrono di Rimini nel 1633. Il primo indizio sull'autenticità della tradizione è l'assenza, fra le reliquie baresi, proprio dell'òmero sinistro. La prova definitiva che si tratta della parte mancante a quanto dello scheletro è venerato Bari, è giunta dalla ricognizione anatomica e lo studio antropometrico (di Luigi Martino) e dalla ricognizione antropologica (di Fiorenzo Facchini), effettuate in occasione della donazione del 2003. La reliquia riminese è custodita nella chiesa di San Nicolò al Porto, nella cappella detta "celestina" dai Padri Celestini, cui appartenne l'edificio dal XIV al XVIII secolo. La chiesa medievale fu praticamente rasa al suolo durante la seconda guerra mondiale; sopravvissero solo il campanile e la "cappella celestina"; in entrambi, ma soprattutto nella seconda, sono visibili affreschi della scuola riminese del '300.
San Nicola in Lorena (Francia).    Dopo l'arrivo in Lorena nel 1087 di una reliquia del santo, la mano destra alzata in segno di benedizione (falange della mano destra), riportata da Bari dal signore Aubert di Varangéville, il villaggio di Port, un possesso del signor di Varangéville, diventa Saint-Nicolas-de-Port e dispone a partire dal 1093 di una prima chiesa dedicata al santo patrono della Lorena, San Nicola dei Lorenesi. Il miracolo«Intorno al 1230, il cavaliere di Lorena Cunon de Réchicourt, al seguito dell'imperatore Federico II di Svevia, è fatto prigioniero durante la sesta crociata. Avrebbe pregato il 5 dicembre 1240 San Nicola prima di addormentarsi nella sua cella. La mattina, si sarebbe svegliato ancora attaccato, sui gradini della chiesa di Saint-Nicolas-de-Port, le catene gli caddero da sé durante l'ufficio che ha poi seguito.» Da allora, ogni anno il sabato prima della festa di San Nicola, si celebra una processione in memoria del famoso "miracolo". Nel 1429, prima di lasciare il suo paese per salvare la Francia, Giovanna d'Arco andò a visitare la tomba del santo a Saint-Nicolas-de-Port. Alla fine del XV secolo, per ringraziare san Nicola per avere salvato il Ducato di Lorena contro il duca di Borgogna Carlo il Temerario (morto durante la battaglia di Nancy il 5 gennaio 1477), il duca di Lorena Renato II ricostruisce la chiesa della città di Saint-Nicolas-de-Port. Una volta iniziati i lavori, nel 1481 essa diventerà una maestosa basilica di stile gotico fiammeggiante quasi grande come Notre-Dame di Parigi. Nel 1622 il duca Enrico II di Lorena ottiene dal Papa Gregorio XV (153-1623) l’erezione di una chiesa per i suoi sudditi che vivono a Roma. Questa bella chiesa barocca si trova vicino a Piazza Navona; è naturalmente dedicata al santo patrono della nazione lorenese e si chiama Chiesa di San Nicola dei Lorenesi. Più generalmente, in ogni città o villaggio in Lorena il 5 o 6 dicembre si tiene una processione in onore di San Nicola. San Nicola visita le case la notte tra il 5 e il 6 dicembre, spesso accompagnato dal suo asino e regala dolci e caramelle ai bambini che cantano il famoso “lamento di San Nicola”. Nella parte di lingua tedesca della Lorena, San Nicola (Sankt Nikolaus-Santa Klaus) è accompagnato tradizionalmente dal suo assistente Rüpelz o Ruprecht.     Iconografia. Il suo emblema, non sempre presente, è il bastone pastorale (simbolo del vescovato) e tre sacchetti di monete (od anche tre palle d'oro o un libro con impresse monete d’oro, cioè i DONI DI DIO)) queste in relazione alla leggenda della dote concessa a tre fanciulle. Nello stemma di Collescipoli (Terni) è rappresentato a cavallo con un fanciullo alle sue spalle. Negli affreschi dell'Abbazia di Novalesa (XI secolo), tra i primi conosciuti in occidente, porta il pastorale e indossa una casula blu e una raffinata stola a motivi geometrici. Tradizionalmente viene quindi rappresentato vestito da vescovo con mitra e pastorale ma anche senza. L'attuale rappresentazione in abito rosso bordato di bianco origina dal poema “A Visit from St. Nicholas” del 1821 di Clement C. Moore, che lo descrisse come un signore allegro e paffutello, contribuendo alla diffusione della figura mitica di Babbo Natale. Nella Chiesa ortodossa russa San Nicola è spesso la terza icona insieme a Cristo ed a Maria col Bambino nell'iconostasi delle chiese.
Il Santo oggi è patrono di “marinai, pescatori, farmacisti, profumieri, bottai, bambini, ragazze da marito, scolari, avvocati, prostitute, nonché delle vittime di errori giudiziari”. È patrono inoltre dei “mercanti e commercianti”.

San Giorgio e il drago e l’origine della leggenda.  Giorgio è il santo uccisore di draghi per eccellenza. Eppure le più antiche rappresentazioni del martire-cavaliere ci raccontano tutta un’altra storia.. In quanto simbolo del paganesimo e del male, il drago è un personaggio frequente nelle storie dei santi medievali. La lista dei “santi sauroctoni” – cioè uccisori di draghi – è infatti molto lunga: Teodoro, Silvestro, Margherita e Marta (che però si limitò ad ammansire il mostro) sono solo i più famosi. A questi si aggiunge l’arcangelo Michele, alla guida della battaglia contro il drago apocalittico. Tra gli uccisori di draghi, tuttavia, nessuno ha riscosso tanta venerazione popolare quanto San Giorgio, scelto come patrono dall’Inghilterra e dal Portogallo.  Della sua vita non ci sono notizie storicamente fondate, se non che fu un soldato originario della Cappadocia, martirizzato sotto Diocleziano. Le storie che lo riguardano sono quindi il risultato di elaborazioni medievali, che si arricchivano progressivamente di dettagli. L’iconografia tradizionale di San Giorgio è legata al suo miracolo più celebre, quello appunto dell’uccisione del drago. L’episodio, come viene riportato nella Legenda Aurea di Jacopo da Varagine, è noto: per tenere lontano un mostro che infesta la città libica di Selem, gli abitanti estraggono a sorte giovani vittime da dargli in pasto; quando il sacrificio tocca alla figlia del re, compare san Giorgio a cavallo, che neutralizza il drago (la scena immortalata dagli artisti); quindi invita la principessa a legare la cintola al mostro, ora mansueto, per condurlo in città; di fronte al miracolo, il re e l’intera popolazione si convertono; e il drago viene finalmente ucciso.  Dal XII secolo in poi la scena della lotta contro la creatura demoniaca è frequentissima in tutta Europa, ed è testimoniata in pittura, in scultura e in miniatura.  In Occidente l’iconografia del santo si basa quasi prevalentemente su questo episodio (gli altri miracoli e il suo martirio sono rappresentati raramente) e l’attributo caratterizzante di san Giorgio diventa il drago. Non sempre però il nostro martire equestre è stato rappresentato così. In origine, anzi, non c’era traccia di draghi nelle storie del santo, e tanto meno nell’iconografia. La più antica rappresentazione di san Giorgio risale alla prima metà del X secolo e si trova in Armenia, nella chiesa della Santa Croce eretta sull’isola Akdamar. Qui un bassorilievo mostra tre santi a cavallo, e tra questi c’è anche San Giorgio, raffigurato mentre trafigge con la sua lancia non un drago, bensì una figura antropomorfa. Gli altri due cavalieri sono San Sergio che uccide un animale feroce e San Teodoro alle prese con un drago. Nella cattedrale di Nikortsminda (inizio XI secolo) in Georgia, la scena si ripete: sulla sinistra San Teodoro neutralizza un drago-serpente, mentre a destra San Giorgio colpisce una figura umana (esattamente come nella nostra tavola in esame). All’epoca infatti il santo sauroctono per eccellenza era Teodoro di Amasea, santo soldato noto a partire dal VII secolo per aver sconfitto un essere mostruoso. Ecco spiegato perché, nelle rappresentazioni altomedievali, la figura del drago è associata in esclusiva a lui. Nei secoli seguenti san Teodoro continuerà a essere affiancato dal drago (come la statua sulla colonna in piazzetta San Marco a Venezia) ma l’iconografia sarà minoritaria. Fino all’XI secolo nelle storie su san Giorgio non c’era invece alcun riferimento all’uccisione di un drago: il santo era venerato semplicemente come soldato-martire che aveva convertito i popoli infedeli. Per questo fino ad allora l’immagine tradizionale che lo rappresentava era di un cavaliere intento a trafiggere un uomo appiedato, simbolo del persecutore pagano e dell’eresia. La credenza che anche Giorgio avesse fronteggiato un mostro prese corpo in Oriente proprio in questo momento, forse sulla spinta delle stesse rappresentazioni figurative.  Negli affreschi e nei rilievi orientali infatti il santo era sempre affiancato da Teodoro, in lotta con il (suo) drago: una prossimità che a un certo punto indusse gli artisti a far convergere verso il mostro entrambi i santi, fino a che Giorgio non “assorbì” del tutto il tema figurativo del drago. La prima testimonianza è in Cappadocia, nella chiesa di Santa Barbara a Soganli (XI secolo).  Contemporaneamente, intorno all’immagine di San Giorgio che uccide il drago iniziò a definirsi una storia vera e propria, che si faceva tanto più ricca di particolari quanto più il culto del santo si diffondeva. I primi testi che narrano l’episodio risalgono alla fine dell’XI secolo e contengono già tutti gli elementi che conosciamo: il mostro lacustre, la principessa salvata, l’addomesticamento del drago condotto in città, la conversione del popolo. La storia di san Giorgio e del drago si stava diffondendo, ma avrebbe mantenuto ancora a lungo una dimensione locale, circoscritta alle regioni orientali, se non fosse stato per le Crociate. I cristiani si identificarono facilmente nel santo vittorioso che aveva liberato una terra in mano agli infedeli: come “Santo protettore dei Crociati”, nessuno era più adatto di San Giorgio. Ma anche un altro fattore potrebbe aver contribuito al successo del santo tra i soldati pellegrini: la visione, a Bisanzio, di una grande tavola dipinta raffigurante un sovrano che trafigge un drago, schiacciandolo sotto i suoi piedi. L’immagine era posta davanti al vestibolo del Palazzo imperiale e rappresentava l’imperatore Costantino trionfante sulla “tirannia degli empi”, simboleggiata da un dragoserpente.  L’iconografia aveva goduto di grande fortuna ed è plausibile che i crociati ne avessero visto un esemplare, poi sovrapposto all’impresa del santo sauroctono. In tempi rapidissimi il culto di San Giorgio si diffuse in tutta Europa, e con esso la rappresentazione del cavaliere che uccide il drago (in Inghilterra la prima immagine è dell’inizio del XII secolo). Mentre in Oriente il mostro aveva un aspetto simile al serpente, la versione esportata dai Crociati aumentava di dimensioni e acquistava zampe e ali, trasformandosi nel drago che tutti noi conosciamo.

Scuola “Veneto-Cretese o Creto-Veneta”

Con il termine di Scuola Veneto-Cretese (o Creto-Veneta) si indica un'importante scuola pittorica, conosciuta anche con il nome di scuola Post-Bizantina, movimento che fiorì sull'isola di Creta sotto controllo della Serenissima di Venezia tra il 1204 e il 1669. Grazie a questa situazione politica, in particolare dopo la caduta di Costantinopoli, fu il principale centro artistico cristiano di matrice greca dal quindicesimo al diciassettesimo secolo. In questo ambiente si sviluppò un particolare stile pittorico che fu marcato, sia dalla tradizione e dai movimenti di matrice bizantina che latina. Il più grande artista di questa scuola fu El Greco, artista che dopo aver mosso i suo primi passi in questo ambiente, presto lasciò l'isola per Venezia, abbandonando progressivamente questa sua impronta iniziale.
XV secolo.   Vi era un'importante domanda di icone bizantine in Europa durante il Medioevo e essendo Creta un possedimento veneziano sin dal 1204, fu presto un centro di produzione di queste opere d'arte. Un probabile esempio di questa produzione è la famosa icona della Vergine oggi a Roma chiamata “Nostra Madre del Perpetuo Soccorso”, di cui è attestata la sua presenza a Roma dal 1499. A quel momento vi erano poche differenze di stile rispetto alle classiche icone bizantine, e la qualità delle stesse era inferiore rispetto a quanto prodotto a Costantinopoli. Di questo periodo sono anche numerosi affreschi in chiese e monasteri dell'isola, di cui circa 850 del XIV e XV secolo si possono ancora ammirare, gli affreschi di questo periodo sono molto più numerosi di quelli del periodi precedente o successivo. Alla fine del XV secolo, gli artisti cretesi crearono un distinto stile di pittura di icone, esso era caratterizzato da “contorni precisi, una modulazione dell'incarnato ottenuta sotto tinteggi in marrone scuro e denso, una maggior messa in evidenza delle guance dei volti, i colori brillanti delle vesti con un disegno geometrico delle pieghe, il tutto con una composizione del quadro più equilibrata, o immagini nitide, corpi sottili, tendaggi lineari e movimenti trattenuti”. I più famosi artisti di quel periodo furono Andreas Ritzos (c. 1421-1492), come il figlio Nicholas e Angelos Akotantos, che, fino a poco tempo fa, era ritenuto un pittore di stile conservativo del XVI secolo, oggi, dopo la scoperta di un dipinto firmato e datato 1457, si evince che era invece un innovativo artista quattrocentesco fra i primi a fondere gli stili orientali e occidentali in quella che verrà riconosciuta come la Scuola Veneto-Cretese. Dal 1457 infatti si data l'inizio di questo nuovo stile con molte icone e tavole dipinte a tempera, tempera grassa, in genere con fondi oro, presenti sia in chiese cattoliche che ortodosse e la cui presenza è ben documentata. Pure rinomati furono gli artisti Andreas Pavias (morto dopo il 1504), il suo pupillo Angelos Bizamanos e Nicholas Tzafuris (morto prima del 1501).
Già prima della caduta di Costantinopoli vi sono evidenze di una migrazione di artisti da Costantinopoli a Creta. Migrazione che si accrebbe con la caduta dell'impero Bizantino nel 1453, quanto l'isola divenne il più importante centro artistico dell'arte greca, che influenzò lo sviluppo artistico del resto della regione. Icone cretesi vennero commissionate in particolare da monasteri del monte Athos e da altri monasteri della regione. Questa scuola ebbe un piccolo concorrente della scuola di Rodi fino al 1522 quando cadde in mano turca, ma la stesse fu comunque mento numerosa e influente di quella cretese. Gli archivi veneziani conservano una abbondante documentazione del commercio di icone e tavole dipinte tra Creta e Venezia che verso la fine del XV secolo divenne una produzione fiorente. A tal proposito esiste la documentazione di una ordinazione fatta nel 1499 da Venezia per 700 icone e tavole raffiguranti la Madonna, di cui 500 in stile occidentale e 200 in stile bizantino. La commissione venne fatta a tre artisti cretesi da due commercianti, uno veneziano e l'altro greco. Resta comunque il fatto che in quel tempo le migliori opere di questa arte, furono prodotte a Creta.
XVI secolo. Circa 120 artisti sono documentati a Candia tra il 1453 – 1526, essi erano organizzati attorno alla Scuola di San Luca che era una corporazione di pittori dell'isola, che si rifaceva a modelli d'arte latina. La fusione tra le tradizioni bizantina e latina e una amichevole relazione tra le chiese ortodossa e cattolica veneziana, furono alla base del Rinascimento cretese, un periodo aureo per le arti sull'isola, dove sia la pittura che la letteratura fiorirono. Alcuni pittori scelsero di continuare nel solco della tradizione bizantina di Costantinopoli, altri subirono l'influenza dei maestri del Rinascimento veneziano, come Giovanni Bellini e Tiziano. Più tardi fu il Veronese a influenzare questa scuola. Alcuni lavori di questi maestri o copie erano presenti sull'isola, come alcune opere di scuola fiamminga erano presenti nella chiese cattoliche di Candia o si trovavano presso le collezioni private di ricchi mercanti veneziani e greci. Documenti dell'epoca indicano due stili di pittura: quello detto  alla  maniera greca, in linea con lo stile bizantino e alla maniera latina, questi stili erano entrambi padroneggiati dai maestri cretesi evidenziando uno spiccato eclettismo e venivano utilizzati secondo le committenze. Era possibile ritrovare, i due stili nella stessa opera, uno accanto all'altro. Il mito di questi artisti si diffuse per la Grecia, tutto il bacino del Mediterraneo e l'Europa. All'inizio del XVI secolo la loro fama ritorna in auge in Europa, avendone gli stessi rinnovato i motivi e aggiustato l'iconografia secondo i nuovi gusti della clientela occidentale.
Gli altri artisti del XVI secolo.  Oltre a El Greco, i maggiori artisti di questo periodo furono Theophanis Strelitzas (Θεοφάνης Στρελίτζας), conosciuto come Teofane di Creta, Michele Damasceno (Μιχαήλ Δαμασκηνός), e Georgios Klontzas (Γεώργιος Κλόντζας). Vari membri della famiglia Lambardos furono pure validi artisti che fortunatamente avevano l'abitudine, forse assunta prima che in occidente, di firmare le loro opere, cosa che non era nella tradizione orientale. Teofane di Creta fu un artista relativamente conservatore, il suo promo lavoro è datato 1527, tutti i lavori conosciuti di questo pittore, sono situati nell'area del mar Egeo. Fu il più importante artista di questa scuola del suo tempo, egli unì alcuni elementi iconografici e stilistici di tipo latino, ma rimase essenzialmente un pittore di spirito bizantino.  El Greco. La formazione intellettuale e artistica giovanile di El Greco crebbe in questo ambiente. Nel 1563, all'età di ventidue anni, El Greco è descritto in un documento come maestro (maestro Domenigo), quindi già probabilmente responsabile di una bottega. Pochi anni dopo abbandonò l'isola per Venezia e non vi fece più ritorno.    Migrazione degli artisti cretesi. Fra la fine del XV sec. e la metà del XVI sec., molti artisti cretesi si trasferirono a Venezia, sperando in una maggiore notorietà e lavoro. A differenza di El Greco, gli altri artisti della scuola cretese non modificarono sostanzialmente il loro stile e i loro metodi di lavoro. Semplicemente incorporarono alcuni motivi di stile latino in un contesto che rimaneva sostanzialmente bizantino.
XVII secolo. Prominenti rappresentanti della scuola veneto-cretese di questo secolo furono Emmanuele Tzanes (Εμμανουήλ Τζάνες, 1610-1690), Emmanuele Lambardos e Theodoros Poulakis (Θεόδωρος Πουλάκης, 1622-1692). La scuola veneto-cretese continuò a fiorire, fino a metà di questo secolo, quando l'impero Ottomano occupò l'isola tranne Candia, che cadde dopo una resistenza durata venti anni nel 1669. Dopo l'occupazione ottomana dell'isola, il centro della pittura greca si spostò a occidente sulle Isole Ionie, che rimasero sotto controllo della Serenissima di Venezia fino alle Guerre napoleoniche. In questo ambiente fiorì un nuovo movimento artistico chiamato “Scuola delle isole Ionie” che subì un maggiore influsso occidentale. Molti artisti cretesi si spostarono nelle Ionie usufruendo della libertà artistica che vi regnava. Anche quando le isole vennero occupate dalla Francia e successivamente dall'Inghilterra queste isole rimasero un punto di riferimento dell'arte greca fino all'indipendenza nel 1830.

Fondo oro.

Il “fondo oro” è una tecnica pittorica che prevede la stesura di foglia d'oro sullo sfondo dei dipinti. Oggi per estensione si indica con "fondo oro" un dipinto qualsiasi che usa tale tecnica, nonché una dei settori più ambiti del collezionismo artistico. Sviluppo storico. Usato nei mosaici fin dall'epoca paleocristiana, se ne hanno le prime tracce in pittura nell'area bizantina e cretese. Venne ripreso in Italia con esempi databili già dal XII secolo. L'oro forniva un colore estremamente luminoso e astratto, che era particolarmente apprezzato nei soggetti sacri per l'effetto mistico e inoltre aveva uno scopo prettamente devozionale: l'alto costo del materiale era visto come un'offerta alla divinità, che poteva ripagare per alcuni peccati commessi, soprattutto quello di usura. In questo senso era popolare anche l'uso del fondo argento, ma l'ossidazione del materiale rendeva queste opere meno durevoli, infatti se ne sono conservate molte. Dopo Giotto, nel Trecento, si iniziò a preferire fondo architettonici e paesistici, riducendo gradualmente, in alcune scuole pittoriche, la percentuale di tavola decorata a oro: in questo senso fu molto all'avanguardia la scuola senese. Con l'avvento del Rinascimento e la piena riscoperta del valore degli sfondi realistici, la tecnica del fondo oro cominciò a cadere in disuso per le opere su tavola, ispirandosi anche agli affreschi, dove per ragioni tecniche non era possibile stendere l'oro. Non è chiaro quale sia stato il primo artista a creare una pala d'altare senza il fondo oro: tale primato se lo contendono artisti di scuola fiorentina come Beato Angelico, Filippo Lippi e Domenico Veneziano, con opere databili agli anni ‘30/’40 del Quattrocento. La tecnica del fondo oro restò in uso comunque ancora a lungo, soprattutto in zone più periferiche e di provincia, almeno per tutto il Cinquecento (Scuola Veneto-Cretese di derivazione Bizantina) e area del Mediterraneo. Artisti anche di prim'ordine continuarono ad utilizzare il fondo oro su richiesta dei committenti.  Tecnica. La preparazione della tavola su cui stendere l'oro prevedeva la levigatura e poi l'impregnatura con una o più mani di colla naturale, la cosiddetta "colla di spicchi", ottenuta facendo bollire e restringere ritagli di pelle animale. Poi si procedeva a fasciare le tavole con una tela morbida, preferibilmente tela vecchia (il cosiddetto "cencio della nonna"), che veniva poi impresso con almeno due strati di gesso: uno ruvido, per livellare, ed uno fine per creare la base pittorica su cui si procedeva disegnando coi carboncini. Si stendeva poi sulla parte da dorare uno strato di bolo, cioè un'argilla rossastra sciolta con acqua e chiara d'uovo ("preparazione rossa"). Esiste anche una preparazione in terra verde, usata per esempio nel Nord-Italia. La foglia d'oro veniva poi applicata per rettangoli che venivano "soffiati" (a causa dell'estrema leggerezza del materiale sottilissimo) su un pennello e applicati con la pressione delle setole. La foglia veniva poi schiacciata e levigata con il brunitore, una sorta di pennello con una pietra d'agata appiattita all'estremità. Per il costo del materiale, è ovvio che si stendesse l'oro solo sulle parti necessarie, ritagliando con un coltellino le parti in eccesso. La stessa pittura sull'oro era molto più complessa e veniva eseguita solo quando si volevano ottenere effetti particolari mediante lo “sgraffito” o velature trasparenti. Spesso l'oro veniva poi inciso, ad esempio nelle “aureole”, con rotelle e punzoni. Infine si iniziava a stendere il colore.

EXPERTISE DEL PROF. GIOVANNI MORSIANI

 
Provincia di visione : RA (Ravenna)