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Scheda articolo 190729
"IL CASSONE DI DANTE" - GRANDE CASSONE FEUDALE DA CASTELLO DI FINE DUECENTO - CAPOLAVORO DA MUSEO INTERNAZIONALE 
Epoca : Medioevo

"IL CASSONE DI DANTE"

GRANDE CASSONE FEUDALE DA CASTELLO DI FINE DUECENTO

CAPOLAVORO UNICO DA MUSEO INTERNAZIONALE

IL CASSONE DI  D A N T E

"STRAORDINARIO CASSONE FEUDALE DA CASTELLO DI FINE DUECENTO"  -  XIII secolo
CAPOLAVORO UNICO AL MONDO


Descrizione e cenni storici

In legno di noce massiccio, intagliato e scolpito. Ferrature originali dell'epoca. Tutta la parte frontale è profondamente intagliata e racchiusa su entrambi i lati da "canne d'organo" (intagli dritti verticali) che simboleggiano l'unione fra l'uomo e la donna. Stato di conservazione, originalità ed autenticità eccezionali.
Il mobile, certamente nuziale, rappresenta un rarissimo esempio di manufatto ligneo medioevale di origine feudale ed è ascrivibile, come epoca di costruzione, agli ultimi due decenni del 1200 (XIII sec.).
La funzione del mobile era principalmente quella di contenere corredi nuziali e biancheria di pregio, un'alternativa più protetta delle nicchie nei muri che in quei tempi erano prevalentemente utilizzate per riporre oggetti, arredi e biancheria. Ciò dimostra come mobili con queste linee architettoniche a forma di parallelepipedo rettangolo rappresentino in assoluto la primogenitura dei manufatti lignei di ogni epoca. Erano denominati anche "cofani dotali" quando recavano intagliati, come nel nostro caso, gli stemmi di due famiglie che stavano per contrarre (o avevano contratto) matrimonio.
Una tradizione orale secolare ha accompagnato fino ai nostri giorni la storia di questo antichissimo cassone. Esso ha miracolosamente varcato le barriere del tempo divenendo così testimonianza storica di epoche remote.
La tradizione lascia presumere che fosse costruito in occasione del fidanzamento, avvenuto dopo il 1288, fra Malatestino Malatesta, detto Tino (primogenito in seconde nozze di Giovanni detto Gianciotto Malatesta e di Ginevra figlia di Tibaldello dei Zambrasi, detta Zambrasina) e Agnese dei Duchi di Montefeltro. Gianciotto Malatesta fece uccidere Paolo e Francesca e venne definito nel 1373 da Benvenuto Rambaldi da Imola (primo commentatore critico della Divina Commedia dantesca) "uomo dal corpo difforme ma dall'animo coraggioso e fiero (audax et ferox)".
Al centro del frontale è intagliato lo stemma antico dei Malatesta (o Malatesti) con le tre teste di mori che sono da ricollegare all'iconografia storica di questa celeberrima famiglia feudale riminese che si riteneva discendente diretta del famoso condottiero Scipione l'Africano. Lo stemma arcaico dei Malatesta, ancora visibile in alcuni banchi della Biblioteca Malatestiana di Cesena, era costituito da uno scudo sul quale campeggiavano, su sfondo verde, tre teste di tipologia camitica o moresca, in alcuni casi singolarmente ed in altri raddoppiate e contrapposte. Sopra due archi di portali in pietra di quel che resta della rocca malatestiana di Fossombrone (nei pressi di Pesaro-Urbino) è scolpito lo stemma dei Malatesta, che si impadronirono del castello agli inizi del XIV sec., con lo scudo in cui sono racchiuse le tre teste moresche raffigurate nel nostro cassone.
All'inizio del Quattrocento lo stemma malatestiano fu modificato in quello universalmente conosciuto dell'elefante con la rosa.
La tradizionale origine dei Malatesta dal citato Scipione l'Africano giustifica pienamente l'utilizzo nel cassone di alcuni decori e simbolismi di origine e tipologia moresca i quali, uniti ad una evidente similitudine nella tecnica d'intaglio, avvicina il cassone alla celebre "cassa di Terracina" (oggi conservata nel museo di Palazzo Venezia a Roma) risalente al XII sec. e considerata il primo esempio assoluto di "mobile italico".
Ai due lati dello stemma malatestiano troviamo intagliate le aquile bicipiti che rappresentano lo stemma dei Duchi di Montefeltro, altra famiglia feudale di notevole tradizione e importanza storica.
Oltre a questi stemmi, facilmente identificabili, sul frontale del cassone vediamo rappresentati, a simboleggiare forza, bellicosità e potere, il minotauro con la spada sguainata e l'aquila al di sopra del cavallo. Questi simboli di dominio sono racchiusi entro archi intagliati al pari della già citata "cassa di Terracina".
Dopo alterne vicende il cassone giunge nella Romagna ravennate al seguito di varie famiglie feudali, spesso in lotta fra di loro ma in alcuni casi anche alleate coi vicini popoli di Toscana per combattere lontani invasori.
In epoca successiva alla battaglia di Zagonara (luglio del 1424) presso Lugo di Romagna, che vide Carlo dei Malatesta con altri romagnoli alleati dei fiorentini contro i milanesi, il cassone perviene ad una famiglia di origine feudale che abitava un territorio della cosiddetta "Romagna-Toscana" fra Casola Valsenio e Brisighella. Sono i bellicosi Ceroni, rappresentanti di quella "gens Ceronia" che edificò nel XIV sec. una casa-torre fortificata a Ceruno, nei pressi di Casola Valsenio, tuttora visibile anche se fortemente rimaneggiata.
Da quel momento il mobile non uscira più dal territorio romagnolo e giungerà fino a noi col suo carico di memorie legate ad aspre ed antiche vicende.


Questo vero "incunabolo" dell'ebanisteria italica rappresenta quindi un "pezzo di storia" miracolosamente sopravvissuto fino ai nostri giorni.

DANTE ALIGHIERI, di cui ricorre quest'anno (2021) il Settimo Centenario della morte, era VIVO quando questo incredibile mobile è stato costruito!

Manufatto ligneo unico al mondo di valore museale.

Misure:  Altezza cm. 62,0    Larghezza cm.165,0      Profondità cm. 65,0

 

Emilia Romagna - Fine del 1200 (XIII sec.)

TRATTATIVA ASSOLUTAMENTE RISERVATA - OPERA DA GRANDE INVESTIMENTO

 

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