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Scheda articolo 315482
Autore : Jan Soens (Boi-Le-Duc 1547 ca. Parma 1611/1614)
Jan Soens (Boi-Le-Duc 1547 ca. Parma 1611/1614) 
Epoca : Cinquecento

Jan Soens
(Boi-Le-Duc 1547 ca. Parma 1611/1614)
Paesaggio con San Martino e il povero
Olio su tavola, cm. 40 × 52,7

Questa raffinata e insolita tavoletta, dipinta con la velocità di un abbozzo o di uno studio per una composizione di più ampio respiro, è davvero una rarità, vista l’epoca alla quale è chiaramente databile, la seconda metà del Cinquecento. Il linguaggio artistico che informa la resa delle figure mostra il chiaro ascendente dell’arte di Parmigianino, permettendoci di collocare l’opera in ambito parmense: come vedremo, precise ragioni di stile e raffronti più che convincenti consentono di riferirla al ne- ederlandese Jan Soens, figura di non comune livello nell’ambito, soprattutto, della pittura di paesaggio. Le prime informazioni sulla sua biografia le fornisce Karel Van Mander nelle “Vite degli illustri pittori fiamminghi, olandesi e tedeschi” di cui riporto alcuni brani:« costui visitò l’Italia durante il mio soggiorno, sicché potei frequentarlo amichevolmente. Egli vi eseguì molteplici lavori, specialmente piccole opere su rame [...] potei ammirare da vicino queste opere, eseguite con stupefacente de- strezza e rapidità, per cui vennero biasimate da alcuni pittori [...]Vi è inoltre una sua ope- ra conservata in una delle anticamere della Stanza Reale: un leggiadro dipinto su muro, in cui appare un galletto [...] Costui lavora attualmente a Parma [...] egli era assai dotato nella rappresentazione di piccole figure, come potei vedere a Roma: figure minute,d’accordo, ma rese con leggiadria e abilità.[...] Mercè i suoi meriti, deve essere annoverato tra i più illustri artefici neederlandesi, specialmente nei paesaggi ». Ancor’ oggi la pittura col ‘galletto’ citata è conservata nella Sala Ducale in Vaticano ed è anche la prima che ci sia giunta di Soens: in essa è evidente l’ascendente sia delle opere della ‘Brill factory’ che di Girolamo Muziano; siamo nel 1574. Nel 1575 Jan Soens è già a Parma se l’anno successivo viene retribuito per l’acquisto di colori da parte del Duca Ottavio. La sua posizione, in poco tempo, dovette diventare più che ragguardevole: venne incaricato, nel 1579, non solo di ingrandire le ante d’organo già dipinte dal Parmigianino, ma di completarle, sul lato interno, con la raffigurazione della Fuga in Egitto. Questa pittura è uno dei capolavori di Soens e colpisce come al pittore sia stata concessa, dai priori della Steccata, la libertà di eseguire un paesaggio di così ampie dimensioni per un edificio ecclesiastico. Tra il 1578 e il 1582 il pittore è tra i ‘provisionati’ del duca, cioè tra i suoi dipendenti più stretti: nel 1586 è risarcito delle spese affrontate nella decorazione ad affresco della Porta di Santa Croce nei pressi del Giardino Ducale. Nel 1586 troviamo Jan a Venezia dove si reca per l’acquisto di colori. Giovanni Paolo Lomazzo lo cita nell’Idea del Tempio della Pittura del 1590 come : «Giovanni Fiammingo, rarissimo in far figure piccole e paesi, che serve ora ad Alessandro, Duca di Parma ». È a cavallo del nuovo secolo che la figura di Soens inizia a essere eclissata da quella di artisti più giovani e innovativi come Giovanni Battista Trotti detto il Molosso e, soprattutto, i Carracci: non risulta infatti che abbia più commesse di rilievo. Le fonti riportano di un suo trasferimento a Cremona, dove sarebbe poi deceduto; una notizia che parrebbe smentita dal suo testamento, dove è anche un interessante elenco dei beni. All’interno della bottega sono citati, tra gli altri: «17 quadri dipinti di diverse pit- ture [ ... ] 4 quadri abocati (cioè abbozzati) 3quadridipaesi[...]unquadrodipaesia guacio». Non mi stupirei se la nostra tavoletta avesse fatto parte di questo materiale di lavoro, che rimase nell’atelier di Soens alla sua morte. L’artista seppe abilmente alternare una pittura più enfatica e una maggiore robustezza figurale, esplicata soprattutto nelle pale d’altare, a raffinate immagini in piccolo formato, dipinte a punta di pennello, con una vivida e sapien- te resa delle vedute, contraddistinte da una non comune sensibilità per il dato luministico. Nella nostra tavoletta è un paesaggio formato con una notevole libertà e velocità di esecuzione: il clivio di una collinetta si staglia sul cielo che pare sul punto di annuvolarsi. Un albero  posto in diagonale chiude questa prima parte dell’immagine e costituisce il limite della stessa, ordinando tutta la zona inferiore della composizione: dal margine verticale della piccola altura al sentiero, ai fitti cespugli, che costeggiano quello che parrebbe il tronco e le radici nodose di un’altra pianta. Chiudono la scena le verzure in basso a sinistra. È proprio da queste ultime, che fungono quasi da quinta, che il nostro sguardo inizia a penetrare nello spazio pittorico, incontrando le due figurette al centro: l’improvvisa interruzione del sentiero e la costa verticale fanno terminare il movimento ascensionale dell’immagine; dopo aver incontrato le fronde in alto siamo portati ad osservare il florido prato sovrastante i personaggi, che continua oltre il margine destro. Questi fini accorgimenti nell’orchestrare la composizione, se da un lato evitano di renderla in modo statico e scontato, dall’altra danno un certo respiro a una raffi- gurazione semplice e di dimensioni contenute: pare infatti che continui oltre i limiti della tavoletta che pare quasi una finestra aperta su un episodio di vita quotidiana, al limite dell’aneddotico. Notevole è la destrezza del pennello che stende la materia pastosa, alla prima, facendo emergere con immediatezza le incidenze della luce sulla vegetazione, con le fronde che hanno le estremità a grappolo e le erbe formate con una semplice svirgolata del pennello, tono su tono, senza passaggi intermedi. Colpisce inoltre la materia quasi liquida che sostanzia i tronchi non che la scelta di raffigurare i due personaggi al centro, quasi monocromi, in modo alquanto antinaturalistico; è un espediente adoperato soprattutto per dare loro la maggiore evidenza possibile. La sintesi con la quale sono colte le forme è tipica di un bozzetto, quasi che l’artista avesse voluto qui fermare un’idea che poi avrebbe sviluppato su un supporto più ampio: allo stato attuale delle conoscenze, non essendo pervenuta l’opera finita, è alquanto difficile stabilire la precisa funzione della nostra tavoletta, che potrebbe anche essere un ‘ricordo’ eseguito dal pittore per se stesso, a memoria di un’opera particolarmente pregevole, che poteva servire come fonte d’ispirazione per lui come per suoi aiuti di bottega.

I protagonisti dell’opera sono un cavaliere, con l’aureola, intento a donare il proprio manto a un fanciullo ignudo: siamo quindi di fronte al noto episodio di San Martino e il povero. L’uomo, che visse nel IV secolo dopo Cristo, figlio di un soldato dell’esercito romano, ebbe il suo nome in onore di Marte, Dio della guerra, e fu a sua volta soldato per gran parte della sua esistenza. Nel 335 avvenne l’episodio ricordato nella nostra tavoletta: un inverno Martino incontrò un mendicante quasi senza abiti; impietosito dalla sua condizione tagliò una parte del suo mantello per permettergli di coprirsi e scaldarsi. Di notte sognò Gesù con indosso proprio quel soprabito. La Pasqua seguente Martino si battezzò iniziando una intensa opera di evangelizzazione non che un’aspra lotta contro l’eresia ariana. Questo episodio è iconograficamente uno dei più rappresentati nell’arte occidentale: il fatto che nella pittura sub judice la scena venga calata in un contesto paesistico, reso in modo alquanto fiabesco, denota la cultura nordica dell’autore rafforzando la mia attribuzione a Jan Soens. Innegabili sono le affinità  tra le figurette monocrome e quelle sul fondo della già citata Fuga in Egitto: le vesti formate da piani un po’ squadrati che qua- si serrano i corpi sono le stesse, al pari delle pieghe dalla forma allungata; inoltre il modo così tipico di dipingere l’aureola, quasi fosse un piatto dorato posto sul capo dei personaggi – dettaglio alquanto arcaicizzante e abbastanza desueto all’epoca – mi pare che renda ancor più convincente questo confronto. Il profilo del mendicante è del tutto simile a quello di questa Madonna in collezione privata, contraddistinto dal naso alla greca, il mento un po’ sporgente, tondo all’estremità, le labbra minute e sottili. Possiamo istituire ulteriori confronti anche tra il modo di dipingere le fronde degli alberi: convincenti sono quelli con alcuni dettagli tratti sempre da sue opere: si noti il modo in cui le foglie terminano a goccia, vibranti nel controluce, particolarmente vivide, tratteggiate tono chiaro su tono scuro, quasi crepitanti di vita. Vale la pena di sottolineare che tutte queste assonanze sono tra lavori finiti e di dimensioni maggiori della nostra tavoletta, e che quindi le eventuali differenze sono dovute proprio al formato del supporto, non che alla tecnica con la quale venne creata la nostra affascinante tavola.
È molto arduo datare con relativa certezza i lavori di Soens, sia per la mancanza di molte opere documentate sia perché molti dei lavori da cavalletto che ci sono pervenuti non sono né firmati né datati: a mio avviso l’alta qualità e la sicurezza con cui è adoperato il pennello mi spingono a datare questo inedito Paesaggio con San Martino e il povero nella parte centrale della carriera del nostro artista, dopo l’anta d’organo per la steccata e prima del declino della sua carriera, quindi tra il 1580 e il 1600.
    
Bibliografia: inedito.


Alessandro Agresti

 
Provincia di visione : RN (Rimini)