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Scheda articolo 344371
Filippo Tarchiani Castello (1576–1645) 
Epoca : Seicento

Filippo Tarchiani Castello (Firenze 1576 – Firenze 1645) coppia di olio su tela "Elisabetta di Ungheria" e "Luigi IX".
cm 115×91
Autentica del professor Giancarlo Sestieri.


Queste due suggestive ed austere immagini (dipinti a olio su tela, cm. 115

X 91) di "Elisabetta d'Ungheria" e di "Luigi IX", re di Francia, di maestosa eleganza nella accurata e raffinata definizione dei regali abbigliamenti, ma stemperate di ogni retorica encomiastica che ben si addiceva al rango degli effigiati, riconduce alla scuola fiorentina tra la fine del Cinquecento e l'inizio del Seicento. I cui maggiori esponenti - da J. Ligozzi, A. Allori, A. Boscoli, L. Cardi, a L. Cardi, J. Chimenti, M. Rosselli, G. Pagani e F. Tarchiani - predilessero infatti la descrizione minuziosa e di esatta pertinenza storica con i personaggi, dei vestimenti particolarmente sontuosi, da quelli sacri a quelli regali, come si può ammirare nei due presenti dipinti, in cui l'autore indugia sui tessuti damascati, sulle loro fodere di ermellino, sul collare e il corpetto d'acciaio, sino agli attributi reali.

Proprio la disamina del soffuso tessuto pittorico, con cui è reso questo analitico descrittivismo, in contrasto con quello più sommario impiegato per la resa delle misere vesti dei questuanti, unitamente alla tipologia e alla pacata gestualità dei quattro personaggi, ci permette di risalire al nome di Filippo Tarchiani (Castello, Firenze 1576 - 1645), quale autore dei due presenti ritratti. I quali non sono da intendersi tali nel senso stretto del termine, essendo i due personaggi stati scelti evidentemente dal committente quali simboli della carità cristiana, che da essi fu esplicata umilmente nonostante il loro rango aristocratico, e quindi con un più autorevole ascendente esplicativo in merito. Luigi IX è passato alla storia come Luigi il Santo, oltre che per avere guidato due crociate nel 1258-60 e nel 1267-70 (nella prima fu fatto prigioniero e durante la seconda mori a causa di un epidemia), per i suoi numerosi atti di carità e di beneficenza, dal servire il cibo di persona quotidianamente a centoventi mendicanti, sino a lavare e baciare i piedi ogni sabato a tre ciechi. Elisabetta, figlia del re ungherese Andrea II, è detta anche di Turingia per avere sposato il locale langravio Ludovico IV, alla cui morte apri un ospedale a Marburgo per curarvi, come francescana, i poveri e gli ammalati. Già dedita a una vita di penitenze, sotto l'influsso del suo confessore Corrado, s'impose durissime mortificazioni che la portarono alla morte. nel 1231.

Ambedue sono stati raffigurati nelle loro vesti regali, recando quali attributi Luigi solo i gigli di Francia, avendo smesso la corona, posata da presso, ed Elisabetta solo la corona; accomunati comunque dall'atto dell'elemosina, elargita con un sentimento di sincera gratificazione interiore, ben espressa dal pittore sui loro volti.

A convincente supporto della su esposta paternità del Tarchiani per questi due rilevanti "Ritratti" idealizzati, si possono esaminare alcune sue opere, tra le più rappresentative del suo catalogo, nelle quali sono analizzabili pertinenti raffronti sia sul piano pittorico che su quello stilistico ed interpretativo. All'uopo si citano l'affresco con "Santa Barbara che abbatte gli idoli" nella Villa di Poggio Imperiale, il "David e Golia" del Museo Bardini a Firenze, la "Madonna con Gesù Bambino porge il velo monacale a una novizia" della Galleria Palatina a Firenze e la "Pietà" del Museo Capitolare a Pistoia. Dipinti pubblicati da S. Bellesi nel Catalogo dei Pittori fiorentini del '600 e '700 (Edizione Polistampa, Firenze 2009, III, figg. 1562-1579).

Il Tarchiani dopo un iniziale alunnato presso Agostino Ciampelli, si trasferi a Roma intorno al 1590, dove prosegui i suoi studi sotto la guida di Durante Alberti. Rientrato a Firenze nel 1596, collaborò col suo ultimo maestro Gregorio Pagani: figura emergente della scuola fiorentina di fine secolo ed aperto alle novità della "maniera lombarda". Dal 1601 al 1607 soggiornò di nuovo a Roma, accostandosi ai fiorentini Comodi e Fontebassi. Nella successiva attività fiorentina Filippo si uniformò soprattutto a un linguaggio stilistico neocinquecentesco di forte impronta empolesca, per aprirsi poi a un tipo di pittura naturalistica, mutuata dagli esempi caravaggeschi. Alla suddetta fase influenzata dal Chimenti sono da ascrivere i 'nostri' due presenti dipinti.

Giancarlo Sestieri

 

 

 
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