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Sei “ambrogette” di maiolica. Manifattura Rampini, probabilmente pittore Siro Antonio Africa, Pavia, 1693-1704. 
Epoca : Primi del Settecento

Sei “ambrogette” di maiolica
Manifattura Rampini, probabilmente pittore Siro Antonio Africa

Pavia, 1693-1704
a)      cm 17,5 x 14; g 252
b)      cm 18 x 14,5; g 233
c)      cm 17,5 x 14,5; g 245
d)      cm 17,3 x 14; g 230
e)      cm 17,5 x 14; g 229
f)       cm 18 x 14,5; g 233

Stato di conservazione: intatte.

Le sei piccole ambrogette di “maiolica fina” appartengono a una famiglia di opere ceramiche tra le migliori realizzate a cavallo tra il XVII e il XVIII secolo.
Per lungo tempo questa tipologia di maioliche è stata attribuita al borgo veneto di Angarano, per poi essere definitivamente ascritta alle fabbriche pavesi: uno studio fondamentale ha restituito questa produzione proprio a Pavia attraverso l’analisi delle collezioni lombarde e il confronto con i resti archeologici individuati nel collettore prossimo alle due principali manifatture della città (E. Pelizzoni - M. Forni - S. Nepoti, La maiolica di Pavia tra Seicento e Settecento, Milano 1997).

Le sei piccole mattonelle ovali, realizzate a stampo, hanno bordi arrotondati e sono decorate con un motivo istoriato, dipinto a policromia a gran fuoco, con prevalenza di colori freddi e predominanza di grigio e azzurro, intervallati da manganese, giallo citrino, giallo arancio e verde.
Le sei opere sono caratterizzate dalle medesime modalità stilistiche, con un analogo progetto decorativo.

Una prima mattonella a) vede raffigurata una figura femminile, con uno stiletto in mano, seduta vicino a un plinto che sostiene un vaso a balaustro decorato a rilevo. Alle sue spalle un fanciullo regge un calice, mentre, attraverso gli archi di un porticato, si intravvede sullo sfondo un paesaggio montuoso. La figura femminile potrebbe essere Lucrezia, esempio di virtù nella cultura romana antica.

Nella seconda ambrogetta b) è descritto l’episodio biblico di Giuditta e Oloferne secondo l’iconografia canonica: il corpo decapitato di Oloferne giace nel letto sullo sfondo, mentre la protagonista ne sta infilando la testa in un sacco sorretto da un’ancella. Attraverso un arco un lucente spicchio di luna dà la percezione dell’ora notturna. Sorprende all’interno della narrazione la presenza di una vasca a forma di grande conchiglia, che richiama molto da vicino i prodotti delle fabbriche pavesi.

La terza piccola placca c) raffigura un personaggio femminile ritto su un basamento e incorniciato da un arco architettonico con un vasto paesaggio montuoso sullo sfondo. La donna, a seno scoperto, è accompagnata da due fanciulli: uno che le si avvicina quasi a voler essere preso in braccio e l’altro seduto con un pomo in mano. La protagonista si presta a differenti interpretazioni: forse Rea Silvia con i due gemelli fondatori di Roma o forse un’Allegoria della Pietà, spesso effigiata sulla maiolica.

Nell’ambrogetta d) tre personaggi si trovano vicino a una colonna. La figura principale è un vecchio che impugna con aria triste un calice, mentre una donna, con il capo coperto da un turbante, tiene anch’essa una coppa con la mano destra e una brocca con quella sinistra. Alle spalle del vecchio una seconda donna con i capelli raccolti sorregge un’altra brocca; ai suoi piedi si vedono un sacco da viandante e, poco discosti, alcuni pomi e una fetta di formaggio su una base rettangolare. Si tratta probabilmente del triste episodio biblico di Lot e le sue figlie, nel momento in cui queste lo fanno ubriacare per ricostituire il genere umano dopo la distruzione di Sodoma.

Le ultime due ambrogette e) ed f) lasciano maggiore spazio al paesaggio - abitato da figure minute di viandanti in riposo - e sono accomunate da elementi architettonici coerenti, come la figura dell’Allegoria della Musica nella mattonella e) o la raffigurazione della statua di un cavallo su un basamento nella mattonella f). In quest’ultima una famiglia di viandanti siede a sinistra lasciando ampio spazio a un paesaggio che si apre in prospettiva, arricchito da monti e da lontane architetture turrite.


Le mattonelle dovevano appartenere a una serie decorativa inserita in supporti lignei, forse un mobile o una cornice, o in un altro tipo di apparato ornamentale, come descritto in documenti relativi a un utilizzo di opere “dell’Africa” in interni lombardi: «sei ovali di maiolica dell’africa, anch’essi racchiusi da cornici di legno intagliato e dorato» (Asp, Notarile di Pavia, G. Re, 13013, 16 agosto 1743).
L’uso come decorazione architettonica è altresì testimoniato dalle «piastrelle di maiolica inserite tra volute di stucchi a ornare una stanza del Palazzo Ghislieri Aizaghi Malaspina, in seguito scalpellate e vendute dopo la morte dell’ultimo proprietario, l’abate Spallanzani» (P. Pavesi, L’abate Spallanzani a Pavia, in Memorie della società italiana di scienze naturali e Museo Civico di Storia naturale di Milano, VI-III. Milano 1901, pp. 18-19). La notizia documenta di come questa importante produzione ceramica fosse percepita fin dal XVIII secolo – Lazzaro Spallanzani muore a Pavia nel 1799 – come fuori dal gusto coevo, cadendo poi addirittura nell’oblio per più di due secoli.

Lo stile pittorico è quello degli Africa: probabile in queste opere l’intervento diretto di Siro Antonio Africa, il più raffinato pittore di maiolica della cultura decorativa lombarda di fine Seicento.
Siro Antonio Africa, insieme al nipote Siro Domenico, aveva lavorato alternativamente nelle due principali manifatture pavesi (Carlo Giuseppe Rampini e Antonio Francesco Imbres documentate a partire dagli ultimi decenni del secolo XVII) dove firma in modo differente le proprie opere (E. Pelizzoni in, op. cit., pp. 29-32). Negli inventari del 1735 della manifattura Rampini si ritrovano le maioliche definite con architettura dell’Africa. Egli è considerato tra gli iniziatori del raffinato decoro, qui unito alle figure, che caratterizzano il secondo periodo produttivo del pittore. Conservati nei principali Musei della ceramica del mondo, i piatti di Pavia con architetture sono considerati tra le opere più eleganti tra le maioliche prodotte a cavallo tra Sei e Settecento.
Le nostre ambrogette trovano confronti particolarmente affini nelle maioliche conservate in alcune collezioni private e all’interno della raccolta di Arti Applicate del Castello Sforzesco di Milano (R. Ausenda, a cura di, Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche, Tomo II, Milano 2001, pp. 101-104, nn. 111-114). Molto prossimo per qualità e stile pittorico anche il confronto con un’alzata della collezione Francesco Franchi nella Pinacoteca di Varallo Sesia con scena di banchetto tra satiri e baccanti (G. Anversa, La collezione Francesco Franchi e la donazione alla Pinacoteca di Varallo Sesia, Borgosesia 2004, p. 302, n. 157).
La tecnica pittorica delle mattonelle, dove le figure spiccano su piedistalli architettonici accostati a strutture rigorose che incorniciano sfondi prospettici e paesaggi aperti e minuziosamente descritti, trovano infine un raffronto prestigioso anche in pezzi di forma di particolare impatto scenografico come, ad esempio, il grande vaso della collezione D’Azeglio al museo Civico di Palazzo Madama a Torino. (Pellizzoni, op. cit., p. 173).
Questa uniformità pittorica e stilistica è riconducibile anche all’ispirazione dalle incisioni coeve: le figure sono dipinte in bruno di manganese diluito con volti arrotondati e caratterizzati da una bocca piccola, quasi standardizzati in una espressione seria, un poco malinconica, che richiama alcune incisioni tratte dai disegni di Johann Christoff Storer, attivo in Lombardia in quel periodo. Si veda ad esempio come sia stata utilizzata la figura della “Purezza” di Storer (cod. catalogo nazionale n. 0300619948-7) nell’ambrogetta c) dove il pittore ripropone la posa dell’incisione, modificandola però negli abiti, nella capigliatura e soprattutto nella natura stessa del personaggio che qui raffigura la “Carità”.
Questa modalità si ritrova in molti personaggi tratti dalla nota incisione di Sole Giovan Dal Gioseffo e Giovanni Paolo Bianchi; inventore ancora lo stesso Storer, nella quale è raffigurata parte dell'apparato illustrativo per i funerali di Isabella di Spagna, dove spicca una veduta d'insieme dell'interno del Duomo, con statue allegoriche rappresentanti le virtù della Regina defunta.
Il medesimo modo di interpretare liberamente le incisioni si ravvisa poi anche nella figura del viandante, mollemente adagiato all’ombra delle colonne, nella piastrella con Allegoria della musica e): il personaggio ricorda qui la figura del mendicante collocato in primo piano nella incisione di Jacopo Cotta con scena di un ingresso trionfale (numero catalogo generale: 00636266, Civica Raccolta di Incisioni Serrone Villa Reale) anch’essa tratta da disegno di Storer.

Le “ambrogette” sono state inserite, probabilmente nel XIX secolo, in cornici di legno intagliato e dorato in stile settecentesco.

Bibliografia:
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P. Pavesi, l’abate Spallanzani a Pavia, in Memorie della società italiana di scienze naturali e Museo Civico di Soria naturale di Milano, VI-III. Milano 1901, pp. 18-19;
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E. Pelizzoni - M. Forni - S. Nepoti, La maiolica di Pavia tra Seicento e Settecento, Milano 1997;
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R. Ausenda, a cura di, Musei e Gallerie di Milano. Museo d’Arti Applicate. Le ceramiche, Tomo II, Milano 2001, pp. 101-104, nn. 111-114.

 
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